1638 – La discesa


Calà del Sasso

Alla Bellezza, in ogni sua forma,

la sola entità capace di salvarci,

se solo fossimo in grado di avvertirla

Questo racconto è la mia libera
interpretazione dei fatti narrati nella
leggenda della Calà del Sasso.


 

Calà del Sasso, la scalinata aperta al publico più lunga del mondo. Costruita nel 1300 ed usata per secoli per trasportare merci dall’altopiano di Asiago alla pianura. Via percorsa milioni di volte da migliaia di persone. Di tutto questo camminare, vivere e soffrire io racconto una discesa in particolare, quella di Nicolò.

 

Nel 1638 Nicolò e Loretta erano prossimi al matrimoni, aspettavano un figlio e abitavano a Sasso di Asiago. La loro vita scorreva come quella di centinaia di altre, si amavano e amavano già loro figlio. Tutto viene sconvolto quando lei si ammala. Col passare dei giorni e col susseguirsi dei fallimenti degli uomini di scienza dell’altopiano, a Nicolò è sempre più chiaro il pericolo a cui si sta andando in contro e che l’unica soluzione è
quell’unguento di cui ha sentito.
Nessuno qui in montagna ha idea di come far ritornare
Loretta quella che era prima, liberarla da quel dolore cha
la sta trasformando e la vuole uccidere. La sta uccidendo, li sta uccidendo! Lei ora è loro e ogni volta che li guardo mi chiedo quanto tempo abbiano ancora, ma come posso dover pensare al tempo resta ad un bambino che non ha ancora respirato una sola volta?.


 

UNO


Uscendo di casa si asciuga quelle lacrime roventi e corre, verso la Calà. Nel mentre incrocia un compaesano e gli dice, senza fermarsi e senza essere sicuro di essere sentito, che per il calar della notte sarebbe stato di ritorno con qualcosa che l’avrebbe salvata. Quando finisce di parlare è già sul cigliare del bosco e quella soglia significa la Calà del Sasso e il pensiero è uno solo.

DUE


Padova, devo arrivare a Padova! Si, ma devi scendere la Calà fino a Valstagna intanto. Ci sono quattromila scalini da fare, meglio che pensi a questo che se ti rompi una gamba qui è finito tutto per tutti e tre. Non l’ho nemmeno salutata, prima di andarmene. Non se ne sarebbe comunque accorta, non si sveglia da ieri e anche se si svegliasse sarebbe solo per soffrire. Meglio dorma. Non volevo potesse pensare ad un addio, no, non voglio io pensare possa esserlo stato non voglio pensare di non aver il tempo che
mi serve. Fosse stata sveglia mi avrebbe chiesto di non andare di rimanere con lei fino alla fine però così la fine sarebbe stata certa, saremmo stati assieme però

TRE


Pensa agli scalini, ce ne sono minimo altri tremila da fare e se ti rompi ora è finito tutto per tutti e tre. Settanta chilometri
fino a Padova dopo devo trovarlo ‘sto balsamo poi a tornare sono altri settanta chilometri e altri quattromila quattrocento scalini in salita: mi serve tutto il giorno e
metà della notte sempre che tutto vada bene, ma devo metterci meno, più veloce, più presto, prima. Si, prima, si, più veloce, lo sai anche tu che non si può, se stanchi troppo il cavallo va cambiato, ne devi cercare un altro, e se sei in paese va anche bene, ma in campagna tocca fermarti.
Ce lo devono avere questo tempo, loro questo tempo ce l’hanno io il cavallo lo tratto bene ma lei questo tempo ce lo deve avere. Mai corso così sulla Calà, no che lo faccia volentieri ora, qui scivoli e rimani dove sei caduto.

QUATTRO


Occhio, guarda che mancano minimo duemila scalini da fare e se ti rompi qui è finito tutto per tutti e tre. Perché nessuno è riuscito a far qualcosa di buono? Perché non sanno come si fa? Tutti sti dottori, sta gente di scienza che quando passano bisogna lasciare spazio perché loro sono quelli che sanno, perché loro non sono come noi ed è proprio così non sono come noi, io il mio lavoro lo so fare e lo dimostrare di essere bravo in quel che faccio ma di certo non per questo chiedo mi venga ceduto il passo quando, a questi si deve rispetto e ammirazione anche se non sanno fare quel che dicono e per dar retta a questi ho lasciato passare giorni, tempo, e forse ora quel che mi resta è poco.

CINQUE


Pensa ai mille scalini che mancano e pensa a guardar bene a dove metti i piedi perché se scivoli ora è finito tutto per tutti e tre. Bosco scalini rocce scalini di roccia quattromila e passa scalini fino a Valstagna e dopo settanta
chilometri fino a Padova a cavallo, affittare un cavallo il borsello il denaro devo avercelo addosso non posso dover tornare devo Averlo da qualche parte qui trovati ora basta non perderli.

 

A Valstagna vado da quello che ha i cavalli buoni spero me ne dia uno se gli spiego in che situazione mi trovo magari me ne da uno dei suoi per andare a Padova, mi serve un cavallo buono, ma deve farsi convincere in fretta che non ho tempo per le spiegazioni, magari gli do qualcosa in più, i soldi sono sempre qui, si gli do qualcosa in più, ma non molto, perché a Padova non so quanto mi serve. Padova, devo arrivare a Padova!

Corri! Ora che la Calà l’hai scesa. Trova un cavallo di quelli buoni qui in paese e corri a Padova!

Una volta a Valstagna Nicolò affitta un cavallo, raggiunge Padova dove trova l’unguento e si rimette in cammino di gran carriera per tornare a Sasso. Giunge la notte, in paese non lo vedono tornare, un gruppo di volenterosi decide per andargli in contro. Ad un tratto durante il loro camminare fra le fronde degli alberi lungo la Calà scorgono dei bagliori di fiaccole: erano un gruppo di abitanti di Valstagna che accompagnavano a casa Nicolò allo stremo delle forze. Poco tempo dopo si tenne il matrimonio per cui tanto si era temuto. Festeggiarono assieme gli abitanti di due interi paesi.

In ricordo di questi avvenimenti ogni secondo sabato di agosto si tiene la fiaccolata storica della Calà del Sasso.

 

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